venerdì 19 agosto 2022

6 maggio 2019 - Altrove


Questo l’avevo scritto sei anni dopo la mia mirabolante fuga. Tante cose sono cambiate da allora e da quando l’ho scritto, e rileggendolo riesco ancora a sentire tante di quelle sensazioni che da ragazzo provavo in quelle giornate vuote, in cui il mio unico desiderio era essere altrove.





Il 25 maggio 2013, intorno alle venti, stavo chiudendo per sempre la porta di casa mia. SBAM! Aveva fatto proprio questo rumore. L’avevo sbattuta forte, perché per me si stava chiudendo un capitolo. “Un ultimo sguardo commosso all’arredamento, e chi si è visto si è visto”. Questo diceva “Altrove” di Morgan da giorni a ripetizione sul mio iPod. In tasca un biglietto del treno, trenta euro nel portafoglio, un bancomat collegato ad un conto corrente con qualche soldo aperto di nascosto appena compiuti diciott’anni, una valigia con le mie cose, lo zaino di scuola dell’Eastpak ed il mio gatto. In pochissimo tempo nei giorni precedenti avevo sgomberato la mia camera, senza farmi vedere da nessuno ed organizzato la mia fuga nei minimi particolari. Avevo salutato i compagni del liceo, scritto lunghe lettere e fatto scatoloni e bagagli. Poi, avevo aspettato che mia madre partisse per il turno di notte e mi ero diretto verso la stazione. Una lunga lettera la aspettava la mattina seguente, con la sorpresa di non trovarmi a scuola, non rintracciabile sul cellulare e lontano chilometri da lei, dalla mia famiglia spaccata a metà a da tutto quello che mi legava a quella città. Anche i professori l’avrebbero scoperto in questo modo, quando il giorno dopo sarebbe stata letta dalla mia migliore amica una lettera d’addio. Pochi amici stretti, mio padre e mia sorella erano a conoscenza del mio piano, e ricordo come se fosse ieri le lacrime sul viso di mio papà quando, ad un giorno dalla partenza, glielo avevo comunicato. È stata l’unica volta che lo avevo visto piangere.
Così salivo sul treno, con la testa piena di chissà che cosa. Probabilmente sogni fumosi. Sapevo che i cavalli dovevano c’entrare qualcosa per forza, ma il mio unico interesse era scappare, scappare da una vita che ai quei tempi mi stava troppo stretta. E farlo con questo gesto eclatante mi sembrava probabilmente l’unica via d’uscita senza dover dare spiegazioni a nessuno. 
Ai tempi la fuga mi sembrava l’unica via d’uscita dai miei disagi. Stava andando tutto male; la scuola, una situazione familiare poco chiara, il mio carattere difficile ed un’emotività troppo spiccata, avevo addirittura dovuto smettere di montare vista la recente bocciatura e la pessima condotta a scuola. Assenze ingiustificate, fughe da scuola. Proprio io, che non avevo mai dato alcun problema o preoccupazione ai miei genitori. Ma si era rotto un sottile ed allora troppo fragile equilibrio, e nessuno se n’era accorto. Mi sentivo solo, incompreso. Ed a questa incomprensione mi ribellavo distruggendo tutto quello che avevo, nella speranza forse di vedere arrivare, ad un certo punto, qualcuno in mio aiuto senza la pretesa di volermi giudicare. Ma quel qualcuno non è mai arrivato, o forse ero stato troppo cieco per cogliere chi aveva intenzione di farlo.
Quante cose senza senso ti passano per la testa a diciotto anni. È incredibile quanto ti puoi sentire grande, ma grande non sei. Quante cose devi ancora vedere e sperimentare, eppure la mia presunzione di quel tempo, mi aveva fatto salire più convinto che mai su quel treno.
Arrivato a destinazione, nei giorni successivi mi sentivo libero e slegato da tante posizioni assunte nel passato. Mi sentivo forte, sebbene fossi un perfetto incapace. Mi sentivo indistruttibile, anche se non sapevo niente della vita. Mi sentivo fiero dei miei diciotto anni, perché a quell’età pensi di poter spaccare il culo a tutti, ma in realtà devi ancora imparare a cambiarti le mutande senza fare dei danni.
Non era passato troppo tempo prima che tutte queste sensazioni svanissero e tornassi a volare basso. Ma ero già perso in una cosa più grande di me, anche se fiero andavo avanti in qualche modo. Piano piano, un piccolo lavoro in una scuderia da commercio, parallelamente alla prima unità del corso istruttori. Soldi pochissimi, quasi inesistenti; 150€ li usavo per pagare una piccola stanza da universitario in centro Modena. Bagno dall’odore di erba condiviso con un gruppo di psicopatici, e una camera ridicola, con letto e frigo talmente vicini che ogni tanto le lenzuola finivano nel ripiano delle uova. I pranzi si rimediavano in scuderia, le cene e beni di prima necessità… Va be’, non sto neanche a raccontarvelo.
Una sera ero finalmente da solo a casa e avevo osato prendere una boccata d’aria dal balcone della cucina. Un tramonto mozzafiato infestava il cielo quella sera, e riflettendo mi chiedevo se tutto questo era ciò che desideravo per me. Così avevo chiamato la mia migliore amica e senza forse neanche dirle “ciao, come stai?”, avevo rotto il mio muro confidandole che volevo tornare in Piemonte.
Altre valigie, altri scatoloni, e con un solo giorno di patente, mi facevo Modena - Torino tutta d’un fiato con la mia cavalla su di un van preso a noleggio. Avevo trovato un altro lavoro, questa volta pagato, quindi finalmente per me si apriva uno spiraglio di luce. Cavalli, stipendio, un piccolo bilocale tutto per me… Dalla felicità avevo addirittura adottato un cane, Shade. 
Prendere un cane ai quei tempi per aveva significato fare qualcosa che mi era stato sempre proibito negli anni precedenti. Era un gesto di ribellione verso tutto quello che mi era stato negato, e per me rappresentava un nuovo inizio.
Avevo ripreso lentamente i rapporti con mia madre, la quale, come da previsioni, era estremamente gelida ma anche contenta di avermi visto fare dei passi indietro. Mi voleva aiutare garantendo per la casa nuova che avevo preso in affitto all’agenzia, ma fra di noi le parole erano poche e spesso taglienti come lame che andavano a riaprire ferite che non erano ancora ben cicatrizzate.
A trasloco finito, mi sentivo la persona più felice della terra, e come già ero successo un tempo, ero convinto di essere grande, un eroe, di sapere come gestire tutto quanto. Perché quando fai degli errori è meglio ripeterli due volte, per essere certo di aver capito la lezione. Infatti tutto questo era durato solo otto mesi, prima di prendermi l’ennesima bastonata, un bel licenziamento, un cavallo sul groppone, nessuna scuderia in cui tenerlo, un corso OTEB da iniziare ed una disperazione a livelli estremi. Interveniva di nuovo quel santo di mio padre, che rendendosi conto che quel corso era fondamentale per potermi dare uno straccio di possibilità di concludere qualche cosa nella mia vita, mi aveva dato un altro aiuto economico. Ma dovendo dividere quei soldi per saldare il corso, mangiare qualcosa ed avere un tetto sopra la testa, avevo tardato di qualche giorno a saldare e mi ero anche preso del “ladro delinquente” strillato al telefono dall’allora docente. Che empatia, tante care cose anche a lei.
Senza avere tempo di riprendermi da tutto questo, finito positivamente il corso traslocavo da un’amica conosciuta in quell’occasione, che aveva avviato con la famiglia una bellissima scuderia. Il progetto era quello di gestirla e farla crescere insieme, ma insieme non facevamo quarant’anni.
Avevo trovato una sistemazione dignitosa per vivere e stavo coltivando una forte amicizia che mi faceva bene. Ma purtroppo, non eravamo abbastanza maturi per poter portare avanti un’attività così impegnativa. Appassionati, affiatati, ma troppo giocherelloni e distratti. Era troppo per noi. Comunicando ai miei genitori l’ennesimo fallimento ed il desiderio di trovare qualcosa che mi facesse crescere, mia madre era solo più capace di dirmi che non potevo continuare così e che tutto questo stava diventando ridicolo. Quanto aveva ragione… Ripenso a tutta la pazienza che i miei genitori hanno avuto con me. Anche a distanza. Ne ho combinate davvero di tutti i colori, avrebbero avuto tutto il diritto di mandarmi a quel paese proprio come avevo fatto io con loro un anno prima.
Nove mesi dopo, stanco e demotivato, cambiavo nuovamente posto di lavoro per buttarmi in un’esperienza che avrebbe dato uno scossa forte alla mia vita. Una piccola scuderia, gestita da una grande amazzone, che fin da subito era stata chiara dicendomi che di soldi per pagarmi non ce n’erano, e che il mio guadagno sarebbe nato solo ed esclusivamente dal frutto del mio lavoro. Ma io adesso avevo un pezzo di carta che faceva di me un misero OTEB, e potevo nel mio piccolo costruire qualcosa.
Nel giro di tre anni avevamo riempito la scuderia e ricordo quel periodo come uno dei più belli di sempre. Successivamente, la decisione di mettermi in proprio, ma questa è un’altra storia, che racconterò un’altra volta.
Oggi, sei anni dopo, ripenso a come mia madre, con la quale adesso ho ristabilito un ottimo rapporto, si sarà sentita quando, prendendo quella lettera in mano, aveva realizzato che me n’ero andato. Lei sostiene da anni di essersi sentita un vero fallimento come genitore. Probabilmente leggere quelle parole le avrà fatto sanguinare il cuore, e la ferita lasciata da me non andrà mai più via e forse si potrà solo ricucire lasciando una grande cicatrice. Ripenso a mio padre, che negli anni ha avuto tanti alti a bassi, e che forse un po’ si è ammalato per tutti gli spaventi che gli ho provocato. Ripenso a loro, e con vergogna realizzo quanto sebbene io volessi prendere distanza da loro, loro siano sempre stati vicini a me.
Oggi io e mia madre ci vediamo spesso, lei viene in scuderia da me ed oltre ad aiutarmi, apprezza tutto quello che ho fatto. Ci sentiamo spesso al telefono e parliamo del più e del meno con assoluta serenità. Mio papà non è di molte parole, ma so che è fiero di me. Del resto i cavalli sono sempre stati il suo sogno nel cassetto. Ad oggi sostengo che sarei arrivato dove sono ora lo stesso probabilmente, sia con una modalità diversa che non implicasse tutto questo assurdo casino. Avrei dovuto parlare, mettere da parte la presunzione ed ascoltare anche quello che gli altri avevano da dire. Ma a diciott’anni non capisci niente, e prima di capire qualcosa devi fare il giro del mondo e confrontarti con la realtà.
Ma è andata così e a questo punto, mi posso solo più concentrare su quello che sta davanti a me.
La mia famiglia è stata divisa a metà anni fa, ma sono cresciuto, e oggi mi sorprendo ogni volta della capacità dei propri genitori di perdonare un figlio, e facendo tesoro di questo, mi rendo conto di essere stato veramente fortunato.

Qual è la vostra esperienza? Avete mai fatto pazzie in nome di un sogno? Fatemelo sapere qui sotto.




3 commenti:

  1. Ho pianificato la fuga con la mia sister a 8 anni. Ovviamente non sapevamo dove andare per cui è tutto saltato nonostante il ns impegno. Per anni ho meditato la fuga dalla mia vita in una qualche Normandia dove ho lasciato il cuore ma non sono totalmente indipendente economicamente. Dopo la morte della mia cavalla ho pensato che non sarei più riuscita a rimandarla e invece mi ha portato in un posto che sa di casa.

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  2. Sono andata via dopo la morte prematura e improvvisa della mia prima cavalla, l'unica creatura che mi legava a "casa". Ero già indipendende economicamente e vivevo sola da un paio di anni, seppur con la fortuna di avere una casa di proprietà. Ma appena è morta la cavalla qualcosa dentro di me è scattato, ho preso il cane, la gatta e sono partita, destinazione Emilia Romagna. Avevo il primo grado ed ero convinta di fare il corso istruttori (anche se preferivo lavorare con i cavalli e non con le persone), ma la vita mi ha riservato altro. I soldi che avevo messo da parte si sono finiti velocemente mentre cercavo un qualsiasi lavoro per sostenermi, nessun corso all'orizzonte e tanta, tanta sfiducia. Alla fine sono tornata in Sicilia dopo 2 anni. L'unica cosa in più che portavo con me era un secondo gatto. Ho cercato di avvicinarmi di nuovo al mondo dell'equitazione, ma nella mia città i centri ippici sono pochi e saturi di personale. Ho fatto la rinuncia del primo grado tornando ad essere un brevetto e montando saltuariamente. Poi un amico mi ha chiesto di addestrare la sua 3 anni, visto che la mia prima cavalla era una puledra e solo con me (che montavo da 3 anni) era arrivata a saltare le 135. Una piccola luce sembrava essersi riaccesa. Ma anche lì, un fuoco di paglia. Ai 4 anni la cavalla è stata notata e venduta ed io sono ritornata nel nulla cosmico. Nel frattempo gli altri, che non si erano fermati come me, che avevano speso davvero somme ingenti in cavalli, andavano avanti con corsi, addestramento puledri... Io avevo solo avuto una cavalla, non avevo pagato nessun "pizzo" a nessun istruttore e quindi venivo lasciata sempre indietro. Poi la tragedia, la morte di mio padre, che mi ha lasciato un negozio sulle spalle, un lavoro che non mi è mai piaciuto ma che mi da da vivere e farei peccato mortale a lamentarmi. Il sogno è finito così.
    Lo scorso anno ho comprato un'altra puledra con cui ho ricominciato a fare quello che mi piace, solo per me. Le soddisfazioni arrivano, ma sembrano sempre a metà.
    Ti invidio per la forza che hai avuto, per la determinazione nel conseguimento del tuo sogno. E ti posso solo augurare che le cose ti vadano sempre meglio

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